I VATTIENTI DI NOCERA TERINESE

Testo del prof. Franco Ferlaino autore del libro -Vattienti Osservazione e riplasmazione di una Ritualità Tradizionale - Qualecultura-Jaca Book, Vibo Valentia-Milano, 1991.

Se le festività natalizie, a Nocera Terinese, segnano il passaggio del tempo calendarizzato, passando da un anno vecchio ad uno nuovo, la Festa di Pasqua rappresenta il "passaggio" culturale e morale dell'uomo: dall'uomo che si era all'uomo che si rinnova nella sua crescita. A questo processo partecipa anche la comunità che si rigenera attraverso i suoi riti e i suoi miti.
La manifestazione più importante si svolge il Sabato Santo: un toccante gruppo ligneo della Pietà (1) raccoglie la devozione dei fedeli durante una lunga e lenta processione che si snoda per tutto il giorno attraverso le vie e i vicoli del pese. Molti curiosi, giornalisti, fotografi, cineoperatori, studiosi osservano la cerimonia attratti, prevalentemente, da un rito inquietante che permane ancora alle soglie del terzo millennio, ma la cui simbologia rinvia al mito primordiale del sangue, ai primitivi sacrifici umani, ai successivi riti misterici precristiani che si svolgevano in Medio Oriente e da qui importati in Grecia e a Roma ma anche all'esercizio penitenziale (e spettacolare) dei battenti o flagellanti che si è sviluppato nel medioevo cristiano.
All'improvviso, mentre la banda diffonde marce funebri scelte e le donne cantano meste nenie dialettali, si propaga un brusio e la folla con rapida frequenza si volta verso una croce coperta da nastri rossi svolazzanti che attrae l'attenzione. Ed ecco apparire un vattente o flagellante (2), un Ecce Homo (3) e un portatore di vino. I primi, seminudi, con abiti rituali, portano una corona di spine.
I tre amici avanzano di corsa fino al cospetto della Pietà i "fratelli portantini" (4) fermano la statua, il flagellante si fa il segno della croce e si genuflette; poi con trasporto si "batte" (5) i polpacci delle gambe e delle cosce mentre il terzo amico versa vino (6) rinfrescante sulle ferite.
I colpi secchi del sughero della "rosa" echeggiano nell'aria e i vetri del "cardo" (7) vibrano nella carne da cui defluisce copioso il sangue: offerta sacrificale che scorre fino a terra.
Finita la flagellazione l'uomo segna col sangue il petto nudo dell'Ecce Homo e bacia la Pietà; poi il trio si allontana verso altri luoghi deputati alla flagellazione sui sagrati delle chiese, davanti alle croci, ai calvari ed ai "sepolcri" (dove sono deposti i "piatti della Madonna" o Giardinetti di Adone (8), sulla soglia di qualche casa amica per la quale si nutrono forti sentimenti di gratitudine, alcuni anche davanti al cancello del carcere.
Dovunque restano i segni del liquido vitale e l'odore di questo misto ad un forte tanfo di vino; penseranno il tempo e la pioggia a ripulirli.
I motivi che spingono questi uomini vanno dalla semplice devozione alla Pietà o Addolorata, espressa secondo la tradizione locale, al "voto", o impegno sacro e inderogabile, assunto nei confronti della divinità per impetrare una grazia o ringraziare per averla ricevuta; grazia che riguarda sovente la salute dei familiari o degli amici fraterni dei flagellanti.
Concluso il giro, dopo circa un' ora, i tre amici rientrano nel magazzino da cui sono usciti. Mediante ripetuti impacchi con infuso di rosmarino, bloccano la fuoriuscita del sangue (resteranno visibili le crosticine di sangue coagulato e poi le cicatrici) e, dopo essersi ripuliti e avere indossano abiti festivi, raggiungono la processione; alcuni ritornano a portare la pesante statua, al loro posto di "fratelli" che avevano lasciato temporaneamente vacante.

NOTE: (1) - Secondo la leggenda, è stata scolpita in un unico tronco di "pirajina" (pero selvatico) da un pecoraio provetto scultore, il quale, dopo averla ultimata, si meravigliò di essere stato artefice di tanta bellezza e di tanta espressione pietosa.
Si racconta che a quel punto la statua parlò: "Si davèru mi vidìe, chiù pietùsa e chiù bèddhra mi facìte". Dopo queste parole il povero pastore divenne subito cieco perché non potesse realizzarne un'altra ugualmente bella ...
... La scultura dell'Addolorata ha lo schema composito piramidale tipico dell'arte rinascimentale e riprende sommariamente l'impostazione della famosa Pietà vaticana ma, a differenza di questa, la testa e lo sguardo di Maria sono rivolti al cielo in una espressione di dolore e di supplica misericordiosa.
Sulle sue ginocchia è adagiato esanime il figlio il quale, più che morto, appare accasciato dall'estrema sofferenza. Entrambi le figure, colme di imano dolore, sono rapite in un'estasi che impressiona e commuove. La composizione artistica agisce sull'animo della gente per parteciparvi l'enfasi di un dolore e di una morte ideale da prendere a modello, essa trasmette il profondo dolore di Maria che tra le lagrime sembra rivolgere a Dio mille interrogativi sulla sua drammatica esistenza ...
... La composta morte di Cristo commuove perché esplicita la consapevolezza della sua necessaria ed altruistica tragedia, accettata con assoluta rassegnazione; essa suggerisce ai fedeli atteggiamenti di totale abbandono alla volontà divina. La scultura, proprio per quei richiami ricchi di pathos, rinvia alle esperienze estetiche ed alla produzione di arte sacra della controriforma; molto probabilmente appartiene alla scuola napoletana.


(2) - Il "vattente", cioè il flagellante (...) nei giorni antecedenti il rito si è assicurato la disponibilità di due amici: uno dovrà seguirlo in qualità di "acciomu" (Ecce Homo) e l'altro dovrà portargli appresso un contenitore pieno di vino e versargliene di tanto in tanto sulle ferite affinché non si richiudano subito e perché il sangue non coaguli velocemente ...


... Il "vattente" indossa una maglietta o camicia (in questi ultimi anni è sorta la tendenza a preferirle nere) ed un pantaloncino corto, anch'esso preferibilmente nero, che alcuni tengono sgambato sulle anche con dei laccetti-tiranti per lasciare molto scoperte le coscie ed agevolare la corsa. Lega poi in testa un largo fazzoletto nero detto "mannile", preso "in prestito" dal copricapo tradizionale delle donne anziane e su esso vi calza una voluminosa corona di "sparacogna". Il "mannile", ora elemento puramente simbolico, rivolto più ad attutire il contatto diretto della corona con il corpo, ha avuto nel passato un ruolo ben diverso; di esso si trova traccia già nella seconda metà del secolo scorso, quando veniva tenuto calato sul volto per rendere irriconoscibile l'uffiziante ...


... "Vattente" ed "acciomu", entrambi scalzi, si uniscono dalla vita con una cordicella o spago, che alcuni oggi preferiscono sia un cordoncino anche nero, a circa due metri e mezzo di distanza l'uno dall'altro ...


... La preparazione non è né segreta né vietata allo sguardo, ma molte volte l'invadenza degli osservatori esterni e l'indiscrezione di alcuni cittadini hanno spinto i protagonisti ad adottare misure protettive spargendo voci, spesso anche pubblicate, circa generici o specifici divieti rituali alle donne o ad altre categorie sociali. In realtà questa fase del rito è di per se stessa un momento riservato ...


(3) - ... Il ragazzo designato a fare da "Ecce Homo" toglie o rimbocca i pantaloni fin sopra il ginocchio. Lasciando il dorso nudo, cinge i fianchi con un panno rosso che scende fin quasi alle caviglie e calza una corona di spine acuminate ricavate da un arbusto detto "spina santa" che viene comunque intrecciata in modo da evitare ogni puntura ...


 ... Egli mette in spalla, a mo' di bandiera, una croce di listelli di legno interamente avvolti, con procedimento a spirale, da bende rosse . I bracci più corti di questa croce non sono perpendicolari all'asse verticale, ma obliqui. Dalle tre estremità dei bracci superiori pendono molti altri nastri svolazzanti ed alcuni usano unire anche le estremità dei bracci superiori tendendovi una benda rossa. I modi di indossare il panno, la corona e la croce, hanno avuto, nel corso degli anni, una serie di varianti ...


... La tendenza generale sembra prescrivere che l'"acciomu" debba essere un bambino o un ragazzetto preadolescente ma, in pratica, questa tendenza è spesso disattesa e tale ruolo viene a volte anche interpretato da giovani già sposati. Attualmente la norma sembra stabilire anche che la presenza dell'"acciomu" sia essenziale, ma di tanto in tanto è possibile vedere qualche "vattente" farne a meno.


(4) - I fratelli portantini.


(5) - Si "batte" i polpacci delle gambe.


(6) - Il terzo amico versa il vino. 


(7) - ... Il "vattente" si percuote poi con prima con la "rosa" (un disco di sughero del diametro di 9-12 centimetri per poter essere trattenuto con presa ferma ed ampia nel palmo della mano) che serve anch'essa a provocare iperemia ai polpacci con colpi e strofinii ed a pulirsi le gambe spingendo il sangue verso terra. (...)


... poi usa il "cardu" (cardo), un altro disco simile al primo sul quale sono state fissate, con una colata di cera vergine mista ad un pizzico di cera di sego, tredici "lanze" (piccole trance acuminate di vetro) individuate con molta cura tra i frammenti di una lastra sottile ed appositamente scelta. Il cardo e la rosa vengono gelosamente custoditi in un involucro di carta e protetti con un' imbottitura di cotone idrofilo. Le punte di vetro sono posizionate sul sughero secondo il seguente schema: due file perpendicolari tra loro, cinque per fila e con quella centrale in comune ad entrambe (per un totale quindi di nove); le altre quattro fissate al punto mediano delle bisettrici degli angoli retti del descritto "schema a croce".


(8) - Il giorno di S. Giuseppe le famiglie seminano in un piccolo piatto, o in altro recipiente di varia forma (stella, croce, cuore...) chicchi di grano fatti poi germogliare e crescere al buio fino al momento di adornarli con nastri, carta velina colorata e fiori di campo, e di portare le variopinte composizioni in chiesa il Giovedì Santo dopo la messa In Cena Domini. Gli adorni piatti di grano bianco richiamano i giardini di Adone, cosi detti perché posti, in tutto il Mediterraneo precristiano, sulla tomba del dio morto.

- Testo e foto tratti dal sito Il Museo della Festa.
Esprimo il mio doveroso e sentito ringraziamento al carissimo amico "vattiente" Vito Curcio per la costante fornitura di materiale documentale sulla Settimana Santa di Nocera Terinese.