A cura di Antonino Basile (primo studioso ad effettuare una attenta e precisa analisi storica della festa di Nocera Terinese ed i suoi studi sono presi in considerazione per tutte le successive analisi).
… per noi le origini di essa non sono né cristiane né medievali: la cerimonia è più antica e rimanda ad un rito, al rito di propiziazione della fecondità della terra, con l'offerta del sangue da parte del sacerdote o del fedele. Sotto questo punto di vista essa rimanda agli antichi riti mediterranei per la morte di Adone e per la morte di Attis, celebrati alla fine di marzo, al ritorno della primavera.
Allora in Cipro si tagliava un tronco di pino, lo si ornava di bende come se fosse un cadavere, e di ghirlande di violette, come un morto. "In Pessinunte il terzo giorno, il ventiquattro marzo - scrive il Fràzer - era conosciuto col nome di giorno del sangue: I'Arcigallo, o gran sacerdote si cavava sangue dalle braccia e lo presentava come offerta.
Non era egli il solo a fare questo sacrificio di sangue: eccitati dalla barbara musica dei cembali, dal rullio dei tamburi, dal soffiar dei corni, dal suono stridulo dei flauti, tutti i sacerdoti d' inferior grado si gettavano nel vortice della danza, con la testa penzoloni i capelli al vento e ben presto, smarriti dalla frenetica eccitazione e resi insensibili al dolore, si tagliavan le carni con dei cocci e si laceravan la pelle con pugnali per spargere sull'altare o sull'albero sacro il sangue che usciva dalle ferite.
II macabro rito faceva probabilmente parte dei lamenti in onore di Attis e può darsi che lo scopo fosse quello di dargli nuova vita per la resurrezione." (1)
Ciò avveniva per Attis a Pessinunte nella Frigia. Nella stessa Frigia, a Jerapoli, si svolgevano simili riti in onore della grande Dea Siria e di Attis al principio della primavera.
"Molti Galli, e gli uomini che dissi addetti al culto sacro - scrisse Luciano di Samosata - celebrano le orge, s'intaccano le braccia, si percuotono l'un l'altro il dorso, mentre parecchi suonano flauti, picchiano timpani, cantano sacre ed ispirate canzoni. Tutto questo si fa fuori del tempio, e queste persone non entrano nel tempio. In questi medesimi giorni si castrano e diventano Galli." (2)
Cerimonie simili si svolgevano a Babilonia e in altre patti dell'Asia occidentale per la morte di Tammuz, lo spirito della vegetazione, I'Adone babilonese e sono bellissimi alcuni lamenti funebri che le donne cantavano per la morte. Il culto di Tammuz doveva esser penetrato presso quella parte del popolo d'Israele rimasto in patria se Ezechiele, dalla cattività di Babilonia, aveva la visione del tempio dove "sedevano delle donne che piangevano Tammuz"... (Ezech. 8,14)
Bisogna pensare che quanto al compianto funebre esso si eseguisse nel modo comune degli usi funebri presso il popolo ebreo del tempo, con strazio dei capelli e incisioni nelle carni, per farne uscire il sangue, rito che è attestato nell'annunzio dell' ira del Signore contro Israele: "E grandi e piccoli morranno in questo paese, senza essere seppelliti; e non si farà cordoglio per loro e niumo si farà tagliature addosso, né si raderà per loro" (Geremia, 16,6). E l'uso era ripetutamente proibito dai libri sacri in nome d'una superiore concezione religiosa: "Non vi fate alcuna tagliatura nelle carni per um morto e non vi fate alcuna bollatura. Io sono il Signore" (Levitico, 19,28).
Lo stesso divieto troviamo nel Deteuronomio (14,1): "Voi siete figlioli del Signore Iddio vostro: non vi fate tagliature addosso e non vi dipelate fra gli occhi per alcun morto ... "
Né il rito del sangue nelle funebri cerimonie era limitato a questi popoli. Secondo Erodoto, gli Sciiti alla morte del loro Re si troncavano, le orecchie, si circoncidevano le braccia, si trafiggevano con saette la mano sinistra.(3) Plutarco dà notizia di altri barbari, i quali alla morte dei loro cari congiunti si troncavano le orecchie e le nari. Secondo questo scrittore essi facevano ciò perché, persuasi che alla vista, di quel sangue gli dei infernali si sarebbero racquetati e non avrebbero nociuto più oltre ...
... Diversa credenza avevano i popoli primitivi dell'Australia, dove gli aborigeni si ferivano sulle tombe dei loro amici con lo scopo di dare all'anima la forza di rinascere.(4) Cosi il sangue versato dai sacerdoti e dai fedeli, anche attraverso le mutilazioni, dava al dio della vegetazione la forza di rinascere ...
… Facciamo grazia al lettore di altre citazioni. Da quelle fatte balza chiara la rassomiglianza dell'uso del Giovedì Santo dei "Vattienti" di Nocera Terinese in Calabria con i riti per la morte di Attis, di Adone, di altre divinità della vegetazione destinata a risorgere ...
... Né si dica che sarebbe impossibile che un rito pagano persistesse tanto a lungo nella società cristiana. Possiamo subito rispondere che il caso di persistenza non è né unico, né raro. Persistono forme di antichissimi riti nella settimana di Passione: rimane vivo, sia in Calabria, sia in Sicilia ed in Sardegna sia in altre regioni meridionali l'uso di ornare il Sepolcro del Cristo con piatti contenenti piccoli cespi di piantine di grano, di orzo di lenticchie, di altri semi fatti germogliare al buio.(5) Le donne affezionate alla chiesa li inviano per devozione, senza sospettare di rinnovar così i giardini o orti di Adone dell'antica religione di Siria, con quei piccoli cespi pallidi, perché germogliati rapidamente nel buio con scarsa funzione clorofilliana.
Se essi, originariamente creati per un Dio della vegetazione e della natura la cui attività si ridesta in primavera, sopravvivono negli usi mediterranei cristiani, non è meraviglia che sopravviva ancora in un vecchio paese di Calabria il rito antichissimo del sangue: originario per la morte di Adone e per la sua resurrezione e per la morte e la resurrezione di Attis esso rimane in Nocera Terinese, ma adattato alla commemorazione della morte e della resurrezione del Cristo, come sopravvivenza o meglio reviviscenza. Anche Attis moriva e resuscitava in piena libertà, mentre la natura rimetteva le novelle fronde ed i nuovi fiori, premessa di frutti abbondanti.
Rimanda ancora all'origine pagana, anzi primitiva del rito di Calabria il fatto che nessun elemento di tristezza vale ad offuscare nel giovedì stesso la letizia della fausta cerimonia …
… Evidentemente il rito del sangue adombra l'offerta, fatta allo spirito della vegetazione affinché produca sempre più.
… E la Chiesa? Quale atteggiamento ebbe verso di esso? La Chiesa lo sopportò, paga della sua cristianizzazione, derivante dall'attribuzione del rito alla commemorazione della morte del Redentore, continuando ancora una volta a rivestire di forme cristiane riti e credenze pagane, che difficilmente potavano essere soppressi. Si ebbe qualche anno fa un tentativo di combattere l'uso ma riuscì vano: alcuni Noceresi celebrarono privatamente e singolarmente quel rito che non potevano più celebrare al cospetto del pubblico. Tanta è la tenacia con la quale resistono nel popolo gli antichi riti, le antiche credenze, gli antichi usi!
Allora in Cipro si tagliava un tronco di pino, lo si ornava di bende come se fosse un cadavere, e di ghirlande di violette, come un morto. "In Pessinunte il terzo giorno, il ventiquattro marzo - scrive il Fràzer - era conosciuto col nome di giorno del sangue: I'Arcigallo, o gran sacerdote si cavava sangue dalle braccia e lo presentava come offerta.
Non era egli il solo a fare questo sacrificio di sangue: eccitati dalla barbara musica dei cembali, dal rullio dei tamburi, dal soffiar dei corni, dal suono stridulo dei flauti, tutti i sacerdoti d' inferior grado si gettavano nel vortice della danza, con la testa penzoloni i capelli al vento e ben presto, smarriti dalla frenetica eccitazione e resi insensibili al dolore, si tagliavan le carni con dei cocci e si laceravan la pelle con pugnali per spargere sull'altare o sull'albero sacro il sangue che usciva dalle ferite.
II macabro rito faceva probabilmente parte dei lamenti in onore di Attis e può darsi che lo scopo fosse quello di dargli nuova vita per la resurrezione." (1)
Ciò avveniva per Attis a Pessinunte nella Frigia. Nella stessa Frigia, a Jerapoli, si svolgevano simili riti in onore della grande Dea Siria e di Attis al principio della primavera.
"Molti Galli, e gli uomini che dissi addetti al culto sacro - scrisse Luciano di Samosata - celebrano le orge, s'intaccano le braccia, si percuotono l'un l'altro il dorso, mentre parecchi suonano flauti, picchiano timpani, cantano sacre ed ispirate canzoni. Tutto questo si fa fuori del tempio, e queste persone non entrano nel tempio. In questi medesimi giorni si castrano e diventano Galli." (2)
Cerimonie simili si svolgevano a Babilonia e in altre patti dell'Asia occidentale per la morte di Tammuz, lo spirito della vegetazione, I'Adone babilonese e sono bellissimi alcuni lamenti funebri che le donne cantavano per la morte. Il culto di Tammuz doveva esser penetrato presso quella parte del popolo d'Israele rimasto in patria se Ezechiele, dalla cattività di Babilonia, aveva la visione del tempio dove "sedevano delle donne che piangevano Tammuz"... (Ezech. 8,14)
Bisogna pensare che quanto al compianto funebre esso si eseguisse nel modo comune degli usi funebri presso il popolo ebreo del tempo, con strazio dei capelli e incisioni nelle carni, per farne uscire il sangue, rito che è attestato nell'annunzio dell' ira del Signore contro Israele: "E grandi e piccoli morranno in questo paese, senza essere seppelliti; e non si farà cordoglio per loro e niumo si farà tagliature addosso, né si raderà per loro" (Geremia, 16,6). E l'uso era ripetutamente proibito dai libri sacri in nome d'una superiore concezione religiosa: "Non vi fate alcuna tagliatura nelle carni per um morto e non vi fate alcuna bollatura. Io sono il Signore" (Levitico, 19,28).
Lo stesso divieto troviamo nel Deteuronomio (14,1): "Voi siete figlioli del Signore Iddio vostro: non vi fate tagliature addosso e non vi dipelate fra gli occhi per alcun morto ... "
Né il rito del sangue nelle funebri cerimonie era limitato a questi popoli. Secondo Erodoto, gli Sciiti alla morte del loro Re si troncavano, le orecchie, si circoncidevano le braccia, si trafiggevano con saette la mano sinistra.(3) Plutarco dà notizia di altri barbari, i quali alla morte dei loro cari congiunti si troncavano le orecchie e le nari. Secondo questo scrittore essi facevano ciò perché, persuasi che alla vista, di quel sangue gli dei infernali si sarebbero racquetati e non avrebbero nociuto più oltre ...
... Diversa credenza avevano i popoli primitivi dell'Australia, dove gli aborigeni si ferivano sulle tombe dei loro amici con lo scopo di dare all'anima la forza di rinascere.(4) Cosi il sangue versato dai sacerdoti e dai fedeli, anche attraverso le mutilazioni, dava al dio della vegetazione la forza di rinascere ...
… Facciamo grazia al lettore di altre citazioni. Da quelle fatte balza chiara la rassomiglianza dell'uso del Giovedì Santo dei "Vattienti" di Nocera Terinese in Calabria con i riti per la morte di Attis, di Adone, di altre divinità della vegetazione destinata a risorgere ...
... Né si dica che sarebbe impossibile che un rito pagano persistesse tanto a lungo nella società cristiana. Possiamo subito rispondere che il caso di persistenza non è né unico, né raro. Persistono forme di antichissimi riti nella settimana di Passione: rimane vivo, sia in Calabria, sia in Sicilia ed in Sardegna sia in altre regioni meridionali l'uso di ornare il Sepolcro del Cristo con piatti contenenti piccoli cespi di piantine di grano, di orzo di lenticchie, di altri semi fatti germogliare al buio.(5) Le donne affezionate alla chiesa li inviano per devozione, senza sospettare di rinnovar così i giardini o orti di Adone dell'antica religione di Siria, con quei piccoli cespi pallidi, perché germogliati rapidamente nel buio con scarsa funzione clorofilliana.
Se essi, originariamente creati per un Dio della vegetazione e della natura la cui attività si ridesta in primavera, sopravvivono negli usi mediterranei cristiani, non è meraviglia che sopravviva ancora in un vecchio paese di Calabria il rito antichissimo del sangue: originario per la morte di Adone e per la sua resurrezione e per la morte e la resurrezione di Attis esso rimane in Nocera Terinese, ma adattato alla commemorazione della morte e della resurrezione del Cristo, come sopravvivenza o meglio reviviscenza. Anche Attis moriva e resuscitava in piena libertà, mentre la natura rimetteva le novelle fronde ed i nuovi fiori, premessa di frutti abbondanti.
Rimanda ancora all'origine pagana, anzi primitiva del rito di Calabria il fatto che nessun elemento di tristezza vale ad offuscare nel giovedì stesso la letizia della fausta cerimonia …
… Evidentemente il rito del sangue adombra l'offerta, fatta allo spirito della vegetazione affinché produca sempre più.
… E la Chiesa? Quale atteggiamento ebbe verso di esso? La Chiesa lo sopportò, paga della sua cristianizzazione, derivante dall'attribuzione del rito alla commemorazione della morte del Redentore, continuando ancora una volta a rivestire di forme cristiane riti e credenze pagane, che difficilmente potavano essere soppressi. Si ebbe qualche anno fa un tentativo di combattere l'uso ma riuscì vano: alcuni Noceresi celebrarono privatamente e singolarmente quel rito che non potevano più celebrare al cospetto del pubblico. Tanta è la tenacia con la quale resistono nel popolo gli antichi riti, le antiche credenze, gli antichi usi!
(1)Frazer James Il Ramo d'oro, Re maghi e dei morituri (vol, 1) Totino Einaudi 1951, pag. 570
(2) Luciano Di Samosata Dialoghi: Della Dea Sisia trad. Settembrini
(3)Erodoto Storie, IV
(4) Frazer James Op. cit., pag 570
(5) Frazer James Op.cit., cap. XXXIII: I giardini di Adone, pag 557 e segg.
- Testo tratto da "Il rito del sangue del Giovedì Santo in Nocera Terinese" estratto dalla rivista "Folklore della Calabria" Anno IV - n.1 - gennaio-marzo 1959.